Palazzo Maffei

In piazza delle Erbe, Palazzo Maffei si presenta con la sua magnifica facciata barocca, una quinta teatrale di una storia unica.

Palazzo Maffei chiude con la sua magnifica facciata barocca il lato nord occidentale di Piazza delle Erbe. Il corpo più antico dell’edificio fu costruito nel tardo medioevo nell’area del Capitolium, il complesso votivo dedicato alla Triade Capitolina costruito in epoca repubblicana, quando Verona divenne Municipio romano (49 a.C.) e le cui fondamenta perfettamente conservate sono tutt’oggi visibili. Alla sua destra si apre Corso S. Anastasia, alla sinistra Corso Porta Borsari, l’antico decumano massimo romano. L’edificio, così come oggi lo ammiriamo, è frutto di un imponente lavoro di ampliamento eseguito nel corso del Seicento da Marcantonio e Rolandino Maffei, banchieri, la cui attività di cambio si era sviluppata proprio accanto a Piazza delle Erbe, all’epoca anche nota come Piazza Grande. Dai documenti si evince che i lavori dovettero iniziare all’incirca verso il 1626, anno in cui zio e nipote inviano una supplica al Consiglio comunale per sollecitare l’approvazione di un intervento edilizio nella loro dimora, che evidentemente versava in cattive condizioni.

I Maffei si appellano alla necessità di migliorare il decoro della piazza, “il merito del sito”, ma anche alle richieste dei concittadini, “i padroni delle botteghe”, che chiedono interventi urgenti di abbellimento della fabbrica, stante l’importanza del luogo.

Nella supplica già si può capire che il desiderio dei Maffei è di rifare la facciata decorandola secondo il gusto del tempo e di aggiungere un piano alla costruzione originale. Non si conosce il nome dell’architetto chiamato a riprogettare il palazzo, con ogni probabilità però vale l’affermazione di Scipione Maffei, il grande erudito e riformatore veronese, che pur appartenendo a un ramo collaterale, conosce la storia della famiglia proprietaria e riporta che il disegno della dimora era “venuto da Roma”, cosa del tutto probabile dati i rapporti dei Maffei con l’Urbe.

I lavori comunque devono in gran parte finire nel 1668, come ricorda una epigrafe murata nel cortile, e sono portati a termine da Rolandino, che fa avanzare la facciata, decorandola con statue, lesene e capitelli, e che abbellisce la sommità con una terrazza a tutta ampiezza destinata ad ospitare un giardino pensile, un agrumeto, descritto nel 1714 dal naturalista Johann Christoph Volkamer nelle tavole incise del suo album Continuation der Nurbergischen Hesperidum. Osservando il palazzo si comprende immediatamente che l’importanza della famiglia è magnificamente rappresenta dall’imponenza austera ed elegantissima della facciata, che alterna motivi architettonici tardo rinascimentali a bizzarrie barocche.

L’edificio si sviluppa su tre piani che poggiano sui cinque archi di un falso portico. Il pianterreno ospita fin dal Medio Evo delle botteghe che nella modifica del Seicento si affacciano sulla piazza con un fronte di archi alternati a paraste doriche, a fasce di bugne. Più ricco è il disegno architettonico del primo piano, caratterizzato da una sequenza di cinque grandi porte/finestre sormontate da frontoni ricurvi e triangolari alternati, scandite da semicolonne ioniche con mascheroni e aperte con balconi balaustrati sulla piazza. Al secondo piano, caratterizzato da tre finestre quasi quadrate e due porte con poggiolo tra loro alternate a paraste con decorazioni floreali e sormontate da una balaustra finemente disegnata, va in scena la storia antica, grazie alle sei statue appoggiate su altrettante mensole alla sommità dell’edificio, Ercole (scolpito in un unico blocco di marmo pario proveniente dagli scavi dell’area archeologica sottostante al palazzo), Giove, Venere, Mercurio, Apollo, Minerva.

Viste dalla piazza in un ardito scorcio sotto in su, queste statue danno un senso di vertigine per il loro particolare affaccio, trasformando l’edificio in una vera e propria quinta teatrale. Non da meno è l’interno del palazzo. Oltrepassato il cannocchiale dell’arco d’ingresso, si scoprono due corpi di fabbrica raccordati da due corti quadrate comunicanti: attorno l’intero edificio con grandi finestre al piano nobile, aperte su un balcone passante a ringhiera. “Tutta in aria”, così descrive Scipione Maffei il prodigio strutturale della magnifica scala a chiocciola di forma elicoidale, che dalle cantine giunge fino al tetto, coronata da una grande lanterna e da statue, una sfida alle leggi di gravità per quel suo essere stata eseguita “sostenendosi essa tutta in se stessa”.

I piani nobili, dove oggi è esposta la collezione Carlon, conserva nei saloni d’ingresso e in quello aperto su Piazza delle Erbe la testimonianza di un ciclo di affreschi eseguiti con ogni probabilità tra XVIII e il XIX Secolo, d’impronta classicheggiante.

Dell’assetto originario del grande appartamento rimangono alcune belle stanze interne, affacciate sul secondo cortile, arricchite da elementi architettonici di pregio, come gli stucchi a motivi floreali con specchiature ovali che racchiudono dipinti su tela di maniera, databili verso la fine del XVIII Secolo, o la cornice in marmo nero proveniente da cave veronesi del grande camino della sala che prende luce dal vicolo…

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